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| LE STELLE

“Ankara Messi!”, 38 anni di un’inenarrabile leggenda

La serpentina con il Getafe, poche parole per rendergli omaggio: 38 anni di Lionel Messi, una leggenda inenarrabile che tende all’eterno

Raccontare Lionel Messi richiederebbe qualità che vanno oltre l’essere umano. Ripercorrere la carriera, tra numeri e statistiche, rischierebbe di escludere l’aspetto divino dell’essere Messi. E forse non è possibile render conto e tramandare cos’abbia rappresentato la ‘Pulce’ per quella generazione di bambini che sono cresciuti tra le traiettorie paraboliche del suo mancino, tra gli assist disumani e quei dribbling tanto eleganti e leggiadri quanto fatali.

C’è chi negli anni lo ha identificato come erede di Maradona, un’ombra che forse non riuscirà mai a scrollarsi di dosso, oscurato ingenerosamente dalla grandezza di Diego. Ma Messi è qualcosa di più. Lungi da noi fare paragoni, lungi da noi metterli sullo stesso piano e proprio per questo cerchiamo di discostarli e di apprezzarli come due esseri analoghi, ma distanti. Distanti per generazioni, distanti per vittorie e per modo di fare calcio, ma parimenti belli e disumani.

Un senso di eterno

Raccontare Lionel Messi significherebbe perdere ore, nel tentativo di infilarci nei meandri della sua carriera e cercando di estrapolare un senso di eternità che lui descrive, da solo, alla perfezione. Non ha bisogno di parole o di racconti per mostrare chi è e cosa ha fatto, non ha bisogno di enfasi per ricordare il segno che ha lasciato nella storia del calcio. Quando parliamo di Messi lo facciamo da appassionati, da amanti (non troppo) segreti di un calcio e di un calciatore che ci ha regalato momenti di eccitazione sportiva.

Dal sedicenne e seducente ragazzino con la 30 sulle spalle che esordiva con il Barcellona, al trentottenne dell’Inter Miami che batte l’ennesimo record, superando per la 33° volta in carriera una fase a gironi di una competizione. Messi è l’eternità del calcio. Messi è la distinzione tra il normale e il paranormale, tra il costruito e il talento puro. Messi è l’essenza del calcio, è la scelta di un Dio che ha deciso di immergerlo in non si sa quale pozione magica. E non esistono paragoni.

Ankara Messi!”

Raccontare Lionel Messi significherebbe rischiare di scadere in una banalità che non serve, nella solita narrazione di qualche appassionato di calcio che si limita ad ammirare la rappresentazione (dis)umana di questo magnifico sport. Eppure, perseguire altre strade è complicato. A volte servirebbe un rumoroso silenzio, che renda merito alle sue gesta, alla classe che in campo parla da sé e che neanche le voci dei più grandi telecronisti sono in grado di seguire, tra stupore e ammirazione.

 La ricerca di parole idonee, quando non ce ne sono, quando non ce n’è realmente bisogno.  A volte basterebbe seguire l’istinto, lasciarsi andare a un banale ma iconico: Ankara Messi, ankara Messi”, per raccontare uno dei suoi gol più belli in carriera, a 19 anni, in finale di Coppa del Re. “Ancora Messi, ancora Messi” erano le parole che andavano a ritmo di serpentina, mentre la palla sfilava tra le gambe dei giocatori del Getafe, seguite da un “Gol, gol, gol, gol!” mentre lui esultante realizzava quanto fatto. Tre parole per entrare nella leggenda ed essere associate per sempre a un’azione che ha fatto la storia del calcio. Tre parole banali, per rappresentare l’immenso.

Tre semplici parole

Raccontare Lionel Messi significherebbe andare oltre le nostre capacità, le nostre capacità di esseri umani. Significherebbe cadere nel blasfemo, osare un salto impossibile in un mondo extra terreno, divino e destinato solo a pochi. Per questo non lo faremo, per questo ci limiteremo anche noi a tre semplici parole per rendergli merito di quanto dato al calcio.

Auguri, Lio!
Grazie.

Niccolò Di Leo