Analisi 28 maggio

Serie A, non esiste pazienza: gli allenatori durano pochissimo

La Serie A come la Ligue 1: sono i campionati con meno pazienza verso gli allenatori
Niccolò Di Leo

La Serie A come la Ligue 1: sono i campionati con meno pazienza verso gli allenatori

Solo un anno fa undici squadre cambiavano il proprio allenatore. In Italia si parlava di rivoluzione generale, di società pronte a iniziare nuovi cicli e a mergere o riemergere per lanciarsi verso un roseo futuro. Parole che per molte di queste son rimaste tali. Viene in mente il Milan e il progetto Fonseca, fallito già a dicembre, così come quello della Juve e di Thiago Motta, pronto a riportare la Vecchia Signora in cima alla classifica, ma che a marzo ha fatto le valige e ha lasciato Vinovo.

Per non parlare della Lazio di Baroni, che dopo un girone d’andata mozzafiato, in quello di ritorno è crollata vertiginosamente ed è finita fuori dall’Europa. A questi si aggiungono situazioni in bilico come quella di Antonio Conte che, nonostante la vittoria dello Scudetto sarebbe pronto a salutare dopo un solo anno, e di Vanoli che Cairo ha deciso di mandar via dopo una sola, e sufficiente, stagione in Granata.

In Serie A è tutto o subito

Muta ancora il contesto italiano e a distanza di un anno è pronta un’altra rivoluzione. Saranno almeno otto le squadre che sono propense a cambiare allenatore, confermando una tendenza che caratterizza il campionato di Serie A più di tutti gli altri in Europa: la scarsa predisposizione a dare a un allenatore il tempo necessario per incidere sulla rosa a disposizione. Secondo un rapporto dell’osservatorio calcistico CIES, tra i top 5 campionati europei la Serie A è il secondo con la permanenza media più bassa di un allenatore in panchina: 392 giorni, appena sopra la Ligue 1 con 359 giorni.

Decisamente più alta è quella che registrano la Premier League con 777 giorni e la Bundesliga con 797. Il miglior dato, però, spetta alla Liga che con i suoi 834 giorni si dimostra un campionato capace di pazientare e di dar fiducia ai propri allenatori, decisamente di più rispetto a campionati come la Serie A e come la Ligue 1. È evidente che in statistiche di questo genere incidano anche casi come quelli di Ferguson al Manchester United, di Wenger con l’Arsenal, di Guardiola con il City e di Simeone con l’Atletico Madrid. L’Italia, però, in questo senso si difende bene considerano la fedeltà di Inzaghi tra Lazio e Inter, come quella di Gasperini all’Atalanta.

La Serie A, un campionato senza vie di mezzo

Nello stesso rapporto il CIES ha fornito anche un’altra interessante statistica. In Serie A il 90% degli allenatori dura meno di un anno, mentre il 10% supera i tre anni. Non esistono vie di mezzo o, quanto meno, sono rari i casi in cui un tecnico rimanda tra gli 1 e i 2 anni o tra i 2 e i 3 anni. Questo conferma ancora una volta il doppio volto di un campionato che si muove tra due estremi: se un allenatore sbaglia il primo anno paga subito, altrimenti si garantisce una lunga permanenza.

Negli altri campionati vige l’equilibrio. In Premier League il 45% non arriva oltre il primo anno, il 20% saluta entro il secondo anno, il 5% resta tra i due e i tre anni, mentre un incredibile 30% resta oltre i tre anni. In Bundesliga il dato è ancora più equilibrato: il 44,4% saluta subito, il 27,8% resta un anno o due, l’11,1% tra i due e i tre anni, il 16,7% oltre tre anni.

Quasi perfettamente bilanciata la Liga, il campionato con la permanenza media più alta, dove il 40% degli allenatori va via dopo una stagione, il 30% dà continuità per uno o due anni, il 25% crea un ciclo con più di tre anni di durata, mentre è complicato (5%) che un allenatore stazioni in un club per due o tre anni.

Niccolò Di Leo

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