Analisi

Milan, Fonseca ha smascherato una società senza valori

Il portoghese è stato lasciato solo dall’inizio alla fine: saluta con la coscienza a posto, nonostante i suoi evidenti limiti
Roberto Bozzo

Il portoghese è stato lasciato solo dall’inizio alla fine: saluta con la coscienza a posto, nonostante i suoi evidenti limiti

Il polverone cha ha scosso il mondo Milan nelle ultime ore sembra essersi già diradato: via Fonseca, dentro Conceicao per trovare la svolta in una stagione fin qui lontana dalla sufficienza, nonostante le buone cose fatte vedere in Champions League e i due enormi exploit con l’Inter nel derby e con il Real Madrid. Un’incertezza che nasce però proprio a monte e legata alla scelta di un tecnico arruolato più per ragioni legate all’opportunità che per reale convinzione, come dimostra anche la clausola che gli concede di fatto solo un anno di stipendio a casa dell’esonero entro i primi sei mesi.

Un Dead Man Walking in piena regola, il povero Fonseca, in puro stile Miglio Verde. A cominciare dalla conferenza stampa congiunta con il misterioso Ibrahimovic in versione bodyguard fino al faccia a faccia con i giornalisti dopo il pari con la Roma, ultima caduta di stile ingiustificabile di una società che ha trattato a pesci in faccia non solo l’allenatore ma anche la persona, mortificandolo a più riprese e difendendolo soltanto con dichiarazioni alle quali non ha mai creduto fino in fondo nessuno. Perché se il sostegno si dimostra attraverso i fatti, di quelli lato società ne sono arrivati ben pochi in questi mesi. 

Fonseca ha certamente dei limiti, soprattutto sul piano della gestione e del rapporto con i senatori. Fu così alla Roma con Dzeko, è stato così anche al Milan prima con Leao e poi con Theo Hernandez, Il portoghese non tollerava l’indolenza delle due stelle rossonere ed è andato come di sua consuetudine allo scontro frontale. Se non altro è stato estremamente coerente e ha trovato molte sponde nella tifoseria che ne ha sempre riconosciuto la buona fede, al di là del prodotto finito. Anche per questo, in molti ancora dopo diverse ore invocano il suo nome, se non altro perché la strada Conceicao piace proprio a pochissimi.

In casi del genere, la presenza della società è ancora più importante. Ed è stato proprio questa mancanza di supporto la base di un sodalizio nato male e concluso peggio. Saelemaekers ceduto nonostante l’endorsement pubblico, il caso del cooling break derubricato a scaramuccia irrilevante all’Olimpico e le recenti parole di Scaroni, che gli augurava un percorso ricco di successi quando già sapeva che la fine fosse vicina. Tutti segnali del supporto inesistente di una dirigenza incompetente, che non ha saputo riconoscere il valore del rispetto della persona, oltre che del professionista. Fonseca non è mai stato e mai sarà il migliore allenatore al mondo e in questi mesi ha anche sbagliato tanto, ma non meritava di certo il trattamento ricevuto, specialmente in un club famoso nella sua storia per lo stile unico e inconfondibile ormai scaduto dall’arrivo dell’ennesima boriosa proprietà americana. 

Fonseca è stato un uomo solo al comando nell’accezione più negativa e scoraggiante del termine, messo al timone di una nave con mille falle e poi accusato di non essere all’altezza di farla navigare da chi non ha saputo avere neppure un briciolo di rispetto ed empatia. E se ne va a testa alta, con la coscienza pulita. Lui sì, può guardarsi allo specchio e dire di aver davvero provato a fare il bene del Milan pur non essendo mai stato probabilmente la persona adatta a prendersi in carico la ricostruzione del dopo Pioli. Perché nel calcio esistono le categorie ed era giusto, in quel momento, optare su altri profili. Ma nulla toglie alla sua buona fede e al suo amore per i colori rossoneri: resterà questo e null’altro di una storia che non sarebbe mai dovuta iniziare.

Iacopo Erba 

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